Continua la ricerca per fronteggiare l’Alzheimer, una malattia che incombe sempre di più sull vita delle persone. Infatti sono stati pubblicati i risultati del primo trial clinico randomizzato che ha studiato gli effetti di un trattamento prolungato di Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS) per 52 settimane su pazienti con Alzheimer in fase lieve-moderata.
La ricerca ha evidenziato che i pazienti trattati con TMS hanno mostrato un rallentamento del 52% nella progressione della malattia, con significativi miglioramenti rispetto al gruppo placebo in termini di funzioni cognitive, autonomia nelle attività quotidiane e disturbi comportamentali.
Lo studio, condotto presso la Fondazione Santa Lucia IRCCS e guidato dal Professor Giacomo Koch – Vice Direttore scientifico della fondazione e Professore ordinario di Fisiologia all’Università di Ferrara, ha utilizzato la Stimolazione Magnetica Transcranica Ripetitiva (rTMS). Questa tecnica è stata applicata per stimolare il precuneo, una zona del cervello precedentemente identificata dal Professor Koch come particolarmente efficace per trattare i pazienti con Alzheimer.
Il Professore associato Marco Bozzali di Neurologia presso la Città della Salute e della Scienza e l’Università degli Studi di Torino, co-autore dello studio e Presidente della Sindem, ha dichiarato: “Questi risultati aprono nuove prospettive per lo sviluppo di terapie non farmacologiche personalizzate e, in vista dell’introduzione dei nuovi farmaci attualmente in corso di sperimentazione, per terapie complementari efficaci e prive di controindicazioni. Saranno pertanto necessari ulteriori studi multicentrici di Fase 2/3 per confermare la validità clinica di questo nuovo approccio terapeutico e per definire meglio i suoi meccanismi d’azione”.
La Stimolazione Magnetica Transcranica è una terapia non invasiva e indolore, priva di effetti collaterali significativi. Si basa sull’uso di impulsi magnetici brevi e intensi che, direzionati verso specifiche aree del cervello, stimolano una debole risposta elettrica nelle zone target. Questi impulsi, che il paziente non percepisce, attivano i neuroni e inducono gli effetti terapeutici desiderati. Lo studio è stato finanziato dal Ministero della Salute, dal Ministero dell’Università e Ricerca e dalla BrightFocus Foundation.