Aviaria, il primo decesso in Messico

Reparto malattie infettive

Non ce l’ha fatta la bambina di 3 anni colpita dall’influenza aviaria H5N1. È deceduta oggi in Messico dopo essere stata ricoverata in gravi condizioni venerdì 4 aprile. La piccola, proveniente dallo stato nordoccidentale di Durango, aveva contratto il virus e, nonostante gli sforzi dei medici, è deceduta a causa delle complicanze respiratorie causate dall’infezione. Questo è il primo decesso in Messico legato al virus H5N1, confermato ieri dalle autorità sanitarie locali.

L’influenza aviaria H5N1 è una malattia infettiva attualmente diffusa tra gli uccelli selvatici in tutto il mondo e numerosi mammiferi sono stati infettati. Questo virus può essere trasmesso agli esseri umani e, in rari casi, causare malattie gravi o decessi. L’infezione si diffonde principalmente attraverso il contatto diretto con uccelli infetti o i loro escrementi, ma può anche essere trasmessa tramite l’ambiente contaminato.

Sebbene l’aviaria colpisca principalmente gli uccelli, i casi di trasmissione all’uomo sono relativamente rari e, quando avvengono, possono portare a complicanze respiratorie.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha segnalato 464 decessi umani legati a questo virus nel mondo tra il 2003 e il 12 dicembre 2024. La maggior parte di questi si è verificata in Vietnam, Egitto, Indonesia e Cambogia fino al 2019. Da allora, i decessi dovuti all’H5N1 sono stati relativamente rari. A gennaio, erano stati gli USA a segnalare il primo morto a seguito dell’infezione nel Paese. Nei giorni precedenti, le autorità avevano segnalato che 38 persone che erano entrate in contatto con la bambina erano risultate negative al virus, e non erano stati riscontrati altri casi umani.

Pier Luigi Lopalco – docente di igiene all’Università del Salento, afferma che: “Con il diffondersi dell’epidemia di influenza aviaria fra gli animali, per una pura e semplice regola statistica osserveremo prima o poi casi gravi fra gli umani. I bambini sono fra i soggetti a maggior rischio. Fortunatamente non fra quelli più esposti, visto che al momento l’epidemia è confinata agli allevamenti, difficilmente frequentati da bimbi”.

Il rischio di diffusione del virus aviario nell’uomo, sottolinea Lopalco, al momento “non è elevato. Importante è tenere sempre a mente che il passaggio ripetuto da animale a uomo e viceversa, che va evitato, aumenta le probabilità che si selezioni un ceppo pandemico, ossia definitivamente adattato all’uomo”.