Israele-Hamas, Via alla tregua dopo la consegna dei nomi degli ostaggi

Gli uomini di Netanyahu annunciano di aver ricevuto la lista degli ostaggi che il movimento islamista palestinese avrebbe rilasciato. La tregua così ha ufficialmente preso il via dalle 10.15 (ora italiana).

Il ritardo nella consegna dei nomi delle ostaggi, che dovrebbero essere liberate dai tunnel di Gaza dopo 470 giorni di prigionia, ha sollevato forti preoccupazioni. Il capo del Mossad, David Barnea, ha atteso per tre ore una telefonata dal primo ministro del Qatar, Al Thani, che avrebbe dovuto comunicare i nomi delle prime tre donne israeliane in programma per essere rilasciate. Nonostante la tensione, Doha ha cercato di rassicurare che entrambe le parti erano impegnate a rispettare l’accordo, ma la situazione resta incerta.

In un’intervista con i media arabi, Netanyahu ha aggiunto che la separazione tra le intenzioni politiche e le violazioni dei patti potrebbe mettere a rischio il cessate il fuoco. “Mia moglie Sara ed io speriamo, preghiamo e agiamo per il ritorno di tutti i nostri ostaggi. Ci penso in ogni momento. L’accordo è anche il risultato della cooperazione con Biden e Trump,” ha affermato Netanyahu. In un’ulteriore dichiarazione, ha ribadito che un’eventuale interruzione della seconda fase dell’accordo comporterebbe il ritorno dei combattimenti con intensità maggiore.

La tensione domenica mattina resta alta, con raid israeliani che continuano a colpire Gaza, provocando la morte di cinque persone a Khan Yunis. Mentre a Tel Aviv e Gerusalemme si sono registrati momenti di paura con l’allarme sirene per missili provenienti dallo Yemen. Intanto, un altro importante sviluppo riguarda l’elenco di 735 detenuti palestinesi che Israele ha deciso di liberare nello scambio con i 33 ostaggi del primo gruppo, tra cui figure condannate per attacchi mortali contro civili israeliani. Sul fronte politico, il governo di Netanyahu è segnato da tensioni interne, con i ministri di ultradestra, tra cui Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich, pronti a dimettersi in segno di protesta contro l’accordo, nonostante le difficoltà legate alla liberazione degli ostaggi. 

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