Donald Trump tende la mano, ma solo a certe condizioni. Il Presidente americano ha annunciato l’apertura di negoziati bilaterali “su misura” con quasi 70 Paesi interessati a discutere le tariffe commerciali, a partire da Corea del Sud e Giappone, che si sono già detti pronti a inviare i rispettivi team negoziali. L’obiettivo dichiarato è quello di ricalibrare le relazioni economiche globali su una base di reciprocità. Ma con la Cina lo scontro è ormai aperto e frontale.
Pechino ha risposto con durezza al nuovo giro di dazi, che dal 9 aprile porterà fino al 104% di tariffe su alcuni prodotti cinesi. La controffensiva è già cominciata: il governo cinese ha lasciato indebolire lo yuan e mobilitato fondi statali per sostenere la Borsa. Il premier Li Qiang ha definito la strategia americana “un atto di bullismo economico” e ha assicurato alla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, che la Cina “non accetterà ricatti” e dispone di strumenti per reagire.
Nel frattempo, anche il Canada ha annunciato dazi al 25% sulle auto americane che non rispettano l’accordo Usmca, mentre Wall Street ha chiuso in netto calo, bruciando oltre 5000 miliardi di dollari in due giorni. Trump, tuttavia, non arretra: “Non sarà facile, ma vinceremo”, ha scritto su Truth Social, proclamando l’inizio di una “rivoluzione economica storica”.
La partita con l’Europa è in bilico. Bruxelles ha proposto un accordo reciproco per azzerare i dazi sui beni industriali, ma gli Stati Uniti chiedono contropartite precise, a partire da un maggiore acquisto di gas americano. “L’Europa ci frega sul commercio mentre noi paghiamo per la loro difesa”, ha attaccato Trump, mantenendo in vigore i dazi anche durante le trattative.
Nonostante il clima di tensione, i contatti con Giappone, Israele e Corea del Sud sembrano più promettenti. Trump ha parlato di un’“ottima telefonata” con il presidente ad interim di Seul e di una “probabile intesa commerciale”, che includerebbe surplus commerciale, joint venture energetiche e pagamento per la presenza militare americana.
Sul fronte interno, però, crescono le crepe. Il segretario al Tesoro Scott Bessent sarebbe vicino alle dimissioni, in disaccordo con la linea dura sui dazi, mentre il senatore Ted Cruz ha avvertito del rischio di un “bagno di sangue” per il partito repubblicano alle elezioni di midterm se l’economia dovesse precipitare.
Il mondo guarda con preoccupazione, e con lui anche i mercati. La rivoluzione economica di Trump è appena cominciata, ma rischia di lasciare macerie prima ancora di generare risultati.