La Consulta chiamata nuovamente a esprimersi sul “suicidio assistito”

Marco Cappato

I casi oggetto della valutazione dei giudici questa volta saranno quelli di Elena, paziente oncologica veneta, e Romano, lombardo affetto da Parkinson, entrambi accompagnati in Svizzera nel 2022 da Marco Cappato, indagato per un reato punito fino a 12 anni di carcere 

Il prossimo 26 marzo per la quarta volta la Corte costituzionale tratterà di scelte di fine vita e aiuto al suicidio, a seguito delle azioni di disobbedienza civile compiute da Marco Cappato. I casi oggetto della valutazione dei giudici questa volta sono quelli di Elena, paziente oncologica, e Romano, affetto da Parkinson, entrambi accompagnati in Svizzera nel 2022. 

Un signore di 82 anni, di origini toscane e residente a Peschiera Borromeo, e una signora veneta di 70 anni, non erano tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale classicamente intesi, pertanto non avevano provato ad accedere al suicidio assistito in Italia poiché si ritenevano privi di uno dei requisiti della sentenza 242\2019 sul caso Cappato-Dj Fabo, se interpretati in senso restrittivo. Entrambi avevano chiesto aiuto a Marco Cappato per andare in Svizzera e accedere al suicidio medicalmente assistito. Cappato, ad agosto e a novembre 2022, si era dunque autodenunciato a Milano, al rientro in Italia.

A settembre 2023, la Procura di Milano aveva chiesto l’archiviazione per Cappato, sostenendo che un malato terminale può scegliere di essere aiutato a morire anche se non è attaccato a macchine che lo tengono in vita. E chi gli dà supporto, secondo i Pm, non è punibile. La Gip, nel giugno 2024, ha emesso un’ordinanza per entrambi i casi in cui dichiara “Rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 580 cp nella parte in cui prevede la punibilità della condotta di chi agevola l’altrui suicidio nella forma di aiuto al suicidio medicalmente assistito di persona non tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale affetta da una patologia irreversibile fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili che abbia manifestato la propria decisione, formatasi in modo libero e consapevole, di porre fine alla propria vita per violazione degli art. 2, 3, 13, 32, 117 Cost in riferimento agli art. 8 e 14 Cedu.” 

Il Parlamento italiano continua a far cadere sulla Corte costituzionale il peso della propria inerzia. Sono passati ormai quasi 7 anni dalla prima ordinanza nella quale aveva invitato il Parlamento a legiferare sul tema. Ora la Corte è chiamata per la quarta volta a confrontarsi con casi concreti, di persone in carne ed ossa che si sono trovate costrette all’esilio della morte volontaria per terminare le proprie insopportabili sofferenze. “L’udienza di mercoledì è il prodotto della paralisi dei partiti su questo tema” – ha dichiarato Marco Cappato, Tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni e indagato per aver accompagnato Elena e Romano in Svizzera. 

La prima decisione della Corte Costituzionale risale al 2018 con l’ordinanza 207 del 2018, seguita dalla sentenza di incostituzionalità del 242 del 2019 sul caso Cappato\Dj Fabo, con cui la Corte ha stabilito che, per poter accedere legalmente all’aiuto medico alla morte volontaria, la persona deve essere in possesso di determinati requisiti: essere capace di prendere decisioni libere e consapevoli, essere affetta da patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili e che sia dipendente da trattamenti di sostegno vitale. La terza decisione , la numero 135 del 2024ha invece fornito  una più ampia interpretazione del requisito di “trattamento di sostegno vitale”. In questo caso era stato il Tribunale di Firenze a chiedere l’intervento della Corte, a partire dal caso di Massimiliano, l’uomo toscano affetto da sclerosi multipla accompagnato in Svizzera per il suicidio assistito da Chiara Lalli e Felicetta Maltese.