Giorgia con Donald ed Elon: “meglio prevenire che curare”

Lunedì la Premier  Giorgia Meloni ha incontrato, per la seconda volta in una settimana, Donald Trump, come Presidente degli Stati Uniti.

Meloni, e’ stata l’unico Capo di Governo europeo presente alla cerimonia, era seduta accanto al Presidente argentino Javier Milei nella rotonda del Campidoglio, sotto la statua di Abraham Lincoln, per assistere al giuramento di Trump durante il lungo cerimoniale di insediamento che si è svolto tra fasti rigorosamente istituzionali, e momenti di grande festa e spettacolo, in verità un po’ meno di quanto ci si sarebbe potuti attendere vista la location forzatamente ridotta a causa del freddo gelido.

Ad accompagnarla c’erano il Consigliere diplomatico di Palazzo Chigi, Fabrizio Saggio, e l’Ambasciatrice italiana a Washington, Mariagnela Zappia, seduta insieme ad altri diplomatici stranieri. Della Delegazione faceva parte anche il Capo Segretario particolare della Premier, Patrizia Scurti.

Meloni, leader di Fratelli d’Italia (FdI), è nota per quanto sia riuscita a cucire rapporti amichevoli con Trump e con il suo più agguerrito sostenitore, perché “amico” come molti lo definiscono, e’ forse una parola troppo “grossa” e che sarà nominato dal Presidente Capo di un nuovo Dipartimento per l’efficienza del Governo. Elon Musk è l’uomo o uno degli uomini più ricchi del mondo e certamente non privo di talento e di una particolare “visione” del futuro imprenditoriale e non solo”.

Musk sostiene Trump dopo essere stato rifiutato dai democratici e da Biden, con i quali aveva approvato inizialmente un accordo per sostenerne la campagna elettorale. Quindi forse di “amicizia” per l’appunto non si può parlare, ma di opportunità politica e imprenditoriale assolutamente sì.

Ma veniamo al viaggio di Giorgia. Dopo l’atterraggio notturno nella capitale americana, la Premier italiana si è recata nella chiesa di San Giovanni, vicino alla Casa Bianca, per assistere a una funzione religiosa insieme a Trump e la imperturbabile e elegantissima moglie, prima che iniziasse la cerimonia giuramento.

Un gesto che indica la forte religiosità del nuovo Presidente americano e nello stesso tempo suona come musica per le orecchie di Papa Francesco, che potrebbe, anche in futuro, esercitare un ruolo importante per mitigare alcune mosse, magari troppo spregiudicate, nell’azione di Governo di Donald, sia a livello nazionale che internazionale.

Giorgia ha dichiarato che la sua partecipazione alla seconda inaugurazione di Trump come Presidente degli Stati Uniti è legata alla volontà della Premier di rafforzare ulteriormente i legami con l’America di fronte alle sfide globali, memore che l’Italia è certamente troppo debole e che l’Europa di fatto è troppo fragile e disunita per poterle affrontare in solitaria e senza il supporto degli Stati Uniti, poi come si è soliti dire dell’America, anzi in questo caso dell’America back, come recita uno slogan molto caro ai sostenitori di Donald.

Eh sì, perché sono passati molti anni da quando, pensando all’America, potevamo confidare sull’invincibile armada” che, da oltre oceano, si ergeva a paladina del mondo, e che invece, in questi ultimi tempi, ha collezionato una serie innumerevoli di insuccessi, in campo internazionale, sia di politica estera che strategica militare, facendo crollare il paese in una grave crisi economica e sociale.

Ora, Trump, punterebbe, nelle intenzioni, a ridare agli Stati Uniti il ruolo che hanno che hanno avuto subito dopo il dopoguerra, ma questo non vuol dire che il nostro Vecchio continente e l’Italia in particolare potranno vivere sonni tranquilli, visto il pesante e incerto contesto geopolitico in continua evoluzione e decisamente complicato che ci circonda. Certamente avere una spalla oltre oceano su cui poggiare la testa potrebbe essere utile al nostro Paese, che vive una situazione di particolare disagio economico, politico, sociale nell’ambito dei nuovi contesti geopolitici anche di natura strategica militare.

Infatti, non giungono a caso le poche parole pronunciate dalla nostra Presidente del Consiglio dei Ministri a Washington, quando dice – “Credo sia estremamente importante che una nazione come l’Italia, che ha rapporti estremamente solidi con gli Stati Uniti, dia prova di volontà di proseguire e semmai rafforzare quel rapporto – che in passato le è’ stato indispensabile –  in un momento in cui le sfide sono globali e interconnesse” – volendo spiegare  il significato della sua ricerca di instaurare un opportuno rapporto di collaborazione con gli Stati Uniti e fornire alla stampa e agli italiani un plausibile significato della sua presenza al giuramento di Trump.

Meloni del resto, non ha casualmente effettuato la sua visita lampo al quartier generale di Trump in Florida, a Mar-a-Lago, probabilmente mediata dall’amico Elon, e secondo quanto riferito ha discusso e trattato della giornalista italiana detenuta in Iran, Cecilia Sala, che è stata rilasciata pochi giorni dopo. Un episodio che, come dichiarato dalla stessa giornalista, si è concluso con una liberazione avvenuta in tempi così rapidi da costituire un record su queste vicende e che non si ricordano nella storia del regime radicalizzato e pericolosamente repressivo dell’Iran.

Una situazione risolta al volo da Giorgia perché diversamente rischiava di compromettere la stessa tenuta del Governo, per un comportamento un po’ superficiale, forse troppo caotico e preso dal panico di dover, in qualche modo, risolvere positivamente questa complessa vicenda che, forse presenta ancora dei lati oscuri, quantomeno per le dinamiche che hanno portato all’arresto dellagiornalista.

Trump, che certamente ha una fortissima connotazione ideologica sovranista e come tale inequivocabilmente di destra; interpreta il “principio dell’uomo solo al comando”, e vede nella politica aggressiva e radicalizzante di Meloni l’interlocutrice europea più affine alle sue idee, tanto da non aver neppure invitato alla cerimonia di insediamento, la Presidente dell’Unione Europea. Donald ha definito Giorgia come una “donna fantastica“, che potrebbe servire da ponte diplomatico e forse non solo, tra l’Europa e il tentativo del Tycoon di ricostruire e ricostituire l’autorevolezza, ultimamente in forte ribasso degli Stati Uniti d’America che  stanno vivendo uno dei momenti più difficili della loro storia.

Alla cerimonia sono stati invitati, non certamente a caso, anche i tre esponenti senior del sovranismo europeo: quello di Alternativa per la Germania di estrema destra, quello dell’estrema destra francese Erik Zemmour e quello dell’ala destra britannica Nigel Farage, anche lui amico personale di Trump.

Ora però, la palla è nelle mani di Trump, che interpreterà il ruolo di Presidente più da imprenditore che da uomo delle Istituzioni, sebbene  siano due aspetti della gestione della cosa pubblica molto diversi tra loro. Il Tycoon dovrà dimostrare al popolo americano se sarà davvero in grado di realizzare efficacemente tutto ciò che ha promesso nella campagna elettorale e che ha ripetuto nel suo discorso di apertura alla cerimonia di insediamento, andando un po’, come del resto e’ nel suo stile, anche controcorrente rispetto al canovaccio che hanno seguito i Presidenti degli Stati Uniti che lo hanno preceduto. Su quanto accaduto ieri e vedremo in futuro, non possiamo esimerci dal ricordarci i tempi fasti (o nefasti) dell’era Berlusconiana, con la sola differenza che qui abbiamo di fronte gli Stati Uniti d’America, ancora oggi una potenza mondiale dalle grandi risorse e con la quale il mondo occidentale e il mondo orientale dovranno confrontarsi nella speranza che prevalga sempre il buon senso tra coloro che decidono le sorti del pianeta e dei suoi abitanti.

Ma certamente dai primi provvedimenti adottati ieri e quelli che sono stati anticipati verbalmente dal Presidente, si preannunciano tempi difficili, e non solo per noi europei: non bisogna, infatti, dimenticare che ieri mezzo emiciclo di Capitol Hill non ha mai applaudito il discorso di Donald Trump: l’America oggi è politicamente divisa in due.

ALTRE NOTIZIE