Dazi USA-Cina: chi rischia davvero di perdere?

Trump alla Convention Conservatori USA

La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina è riesplosa più intensa di prima. E i nuovi dazi record imposti da Donald Trump promettono di lasciare ferite profonde da entrambe le parti del Pacifico.

Con un colpo da maestro di retorica politica e impatto economico, il Presidente USA ha portato le tariffe sulle importazioni cinesi al 145%, nel tentativo di rafforzare la sua immagine di difensore degli interessi americani. Pechino ha risposto colpo su colpo, alzando i suoi dazi fino all’84%. È l’inizio di una nuova spirale protezionista, ma con effetti molto reali su economia, filiere globali e vita quotidiana.

Le ragioni sono politiche e strategiche. Da un lato, Trump cerca di galvanizzare la sua base elettorale con una narrazione di “America first” contro l’“invasione economica” cinese. Dall’altro, i numeri confermano che lo squilibrio nei rapporti commerciali resta elevato: nel 2024 gli Stati Uniti hanno esportato 143,5 miliardi di dollari in Cina, importandone però 438,9 miliardi. Un deficit di quasi 300 miliardi di dollari.

Tra i settori più esposti alla guerra commerciale c’è l’elettronica. Gli USA dipendono massicciamente dalla Cina per componenti come batterie e semiconduttori. Le interruzioni delle forniture potrebbero bloccare interi comparti industriali e aumentare i prezzi per i consumatori.

Al contrario, Pechino esporta verso gli USA una quota significativa del suo export di elettronica e meccanica. Le aziende cinesi come CATL rischiano cali pesanti, mentre il tentativo di diversificare i mercati richiederà tempo.

Nel settore automobilistico, gli USA rappresentano solo il 3% dell’export cinese di veicoli finiti, ma circa il 20% di quello di componenti. Qui la dipendenza è più bilaterale e il danno può essere reciproco.

Il comparto agricolo rappresenta invece uno dei talloni d’Achille americani. La Cina importa dagli Stati Uniti soia per oltre 15 miliardi di dollari, un quarto del proprio fabbisogno. Se Pechino chiudesse i rubinetti, sarebbe un duro colpo per gli agricoltori americani – ma anche per il settore zootecnico cinese.

Nel settore energetico, le esportazioni USA verso la Cina di petrolio e gas valgono circa 21 miliardi di dollari. Numeri rilevanti ma non strategici, né per Washington né per Pechino.

Più sensibile, invece, è il comparto farmaceutico: la Cina importa dagli USA il 15-30% di determinati prodotti medici. Qui uno stop improvviso delle forniture potrebbe avere impatti più gravi, anche per la salute pubblica.

Il vero nodo della nuova guerra commerciale è che, dopo due decenni di globalizzazione, entrambe le potenze sono ormai troppo interconnesse per uscirne indenni. Gli USA dipendono da Pechino per molti beni essenziali (dal tessile alla plastica, con percentuali di import tra il 30% e il 90%), mentre la Cina ha costruito il proprio boom economico sul traino dell’export verso l’Occidente.

Le misure imposte finora rischiano di essere solo l’inizio. Se la spirale non si arresta, potrebbero seguire shock su prezzi, inflazione e occupazione in settori strategici a livello globale.

La guerra commerciale rilanciata da Trump ha un impatto che va oltre la logica del dare-avere. È uno scontro tra due modelli di sviluppo e un test sulla resilienza delle economie interdipendenti. Ma in uno scenario dove non esistono vincitori certi, le ripercussioni per imprese, lavoratori e consumatori rischiano di essere pesanti da entrambe le parti. E il vero conto potrebbe arrivare ben prima del 2029.

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