A rilanciare presunti legami del passato fra Trump e il Cremlino è un post apparso ieri sera su Facebook e rilanciato al volo dal collettivo Anonymous. In poche righe il semi-sconosciuto Alnur Mussayev racconta di essere stato nel 1987 alle dipendenze del 6° Dipartimento del KGB a Mosca: “L’area di lavoro più importante del 6° Dipartimento – scrive – era l’acquisizione di spie e fonti di informazione tra gli uomini d’affari dei paesi capitalisti. Fu in quell’anno che il nostro Dipartimento reclutò un quarantenne uomo d’affari americano, Donald Trump, nome in codice ‘Krasnov’ “.
Sarebbe si tratti di una indiscrezione da prendere con le molle visto che a firmarla è un personaggio con un discreto passato nei servizi dell’ex URSS: la pagina Wikipedia di Alnur Mussayev, infatti, spiega come il 71enne kazakho, esule a Vienna, sia stato addestrato nella scuola del Kgb di Minsk, e abbia operato nei servizi sovietici. Negli anni Novanta è stato anche alla guida del Comitato per la sicurezza nazionale del Kazakistan (KNB) durante la presidenza di Nursultan Nazarbayev. Dal 2007 l’ex spia vive a Vienna dove si è rifugiato dopo avere accusato il Governo kazako di corruzione e pagamenti di milioni di dollari in tangenti a Nazarbayev. Accuse per le quali è stato condannato in contumacia: poco dopo il suo arrivo in Austria l’uomo è stato oggetto di un tentato rapimento sul quale restano ancora molte ombre.
Una figura dunque controversa, ma sicuramente non estranea ai Servizi di Mosca, fatto che sui social sembra dare credibilità alle sue accuse. Affermazioni peraltro ancora non sostenute da documenti – “Oggi è stato confiscato all’FSB il fascicolo personale del collaboratore “Krasnov”. L’operazione è stata condotta privatamente da uno stretto collaboratore di Putin” – ha scritto Mussayev in un commento alla ‘rivelazione’, ma che ha acceso il dibattito sul web.
I nemici del Presidente USA ricordano alcuni elementi fattuali giudicati sospetti, a iniziare dal viaggio a Mosca del 1987, di cui lo stesso Trump ha scritto, motivandolo con opportunità di business in loco: l’imprenditore fu ospite dell’Ente turistico sovietico Intourist al quale propose inutilmente la costruzione di un albergo di lusso. Altra circostanza contestata al tycoon, la pagina pubblicitaria acquistata su alcuni grandi quotidiani – sempre nel 1987 poco dopo il viaggio a Mosca – per criticare la politica estera degli Stati Uniti. Ma i complottisti parlano anche di una lettera aperta indirizzata “Al popolo americano” e apparsa il 2 settembre 1987 sul New York Times, il Washington Post e il Boston Globe, in cui si Trump si lamentava con 37 anni di anticipo della spesa eccessiva degli USA per difendere i suoi alleati) che sarebbe costato al futuro presidente ben 94.800 dollari.
A dare forza ai complottisti l’insolita operazione immobiliare con cui nel 2008 il magnate russo dei concimi Dmitry Rybolovlev acquistò per 95 milioni di dollari una villa a Palm Beach che Trump aveva comprato pochi anni prima per ‘soli’ 41 milioni: una trattativa ‘fortunata’ per Trump perchè all’epoca la villa era l’abitazione più costosa mai acquistata negli Stati Uniti e che cadde – secondo i nemici del tycoon – al momento giusto, viste le difficoltà economiche che l’imprenditore affrontava in quel momento.
In realtà le voci su legami pericolosi fra Trump e il Cremlino erano iniziate a circolare già in occasione del primo mandato, con contatti con l’ambasciata di Mosca anche prima dell’insediamento del 20 gennaio 2017 (al centro della commissione di inchiesta guidata da Robert Mueller, ma senza risultati). Un gruppo di lavoro, il Moscow Project, sostenuto dal Center for American Progress Action Fund, rivelò tuttavia che la campagna elettorale di Trump e il suo team di transizione avevano avuto almeno 38 incontri ‘sicuri’ con rappresentanti legati al Cremlino.
In un libro del giornalista Craig Unger (American Kompromat, uscito nel 2017) si riportano poi – per bocca di un alto esponente del Kgb Yuri Shvets – le manovre dei servizi sovietici per ‘conquistare’ il rampante Trump, all’epoca peraltro sposato con la modella cecoslovacca Ivana Zelnickova.
Fin dove siano arrivate le lusinghe del Kgb è difficile dirlo, ma oggi l’attacco di Mussayev rilancia le teorie complottiste: la ex spia kazaka da tempo parla di un Trump “finito all’amo dell’FSB” (la principale Agenzia di sicurezza russa che ha preso il posto del KGB). “Non ho dubbi che la Russia possieda kompromat (informazioni dannose) sul Presidente degli Stati Uniti e che il Cremlino lo abbia preparato per anni per salire alla presidenza della principale potenza mondiale“, ha affermato Mussayev. Si tratta ovviamente di un’potesi, naturalmente, anche se il New York Magazine ha suggerito che la riluttanza di Trump a pubblicare le sue dichiarazioni dei redditi potrebbe derivare dalla possibilità che mostrino un sostegno finanziario ricevuto dalla Russia per molti anni attraverso vari canali.
A Washington qualcuno ha iniziato ad alzare la voce, come Joe Walsh, un ex deputato repubblicano, che nel 2020 si candidò alle primarie presidenziali: ieri sera alla CNN ha detto che “Trump “dice tutto quello che direbbe Vladimir Putin” e che “il presidente americano potrebbe essere una spia, una risorsa al servizio dei russi“. Il conduttore della CNN ha subito preso le distanze da queste parole, in assenza di prove, ma Walsh sui social tira dritto e qualcuno – su X – grazie all’intelligenza artificiale – propone una finta foto di Trump in divisa da Kgb, sotto la definizione ‘President Krasnov‘.
Un nome, peraltro, che evoca in Russia brutti ricordi: perché il Generale Piotr Nikolaevic Krasnov durante la seconda guerra mondiale appoggiò la Germania nazista in funzione antisovietica appoggiando nel 1943 il progetto di Hitler di creare un corpo cosacco che combattesse a fianco della Wehrmacht. Alla fine della guerra, Krasnov si arrese ai britannici, ma fu subito consegnato ai sovietici. Che dopo un processo lampo lo impiccarono il 17 gennaio 1947 a Mosca, nei sotterranei della Lubjanka, la sede del Kgb.