Myanmar, il regime blocca gli aiuti dopo il terremoto

Macerie, fosse comuni, città da radere al suolo. E mentre la popolazione lotta per sopravvivere, il regime militare blocca gli aiuti. In Myanmar la tragedia del terremoto che ha già ucciso più di 2.700 persone si trasforma in una crisi umanitaria aggravata dalle decisioni della giunta al potere, che – secondo medici, ONG e osservatori internazionali – starebbe ostacolando o confiscando gli aiuti destinati alle aree più colpite.

L’epicentro del sisma, di magnitudo 7.7, ha colpito le regioni di Mandalay e Sagaing, già segnate da anni di conflitto interno. Ma le accuse sono gravi: la giunta militare avrebbe bloccato l’accesso alle squadre di soccorso nelle zone controllate dai ribelli e confiscato parte dei beni destinati ai civili.

Secondo due medici australiani che collaborano con i soccorsi sul campo, gran parte degli aiuti umanitari non è mai arrivata ai destinatari. “In alcune zone l’aiuto è stato bloccato o requisito – racconta la Dottoressa Nang Winspesso viene deviato e finisce nel mercato nero”. In molti casi, raccontano, i rifornimenti vengono fermati ai posti di blocco o sono soggetti a controlli arbitrari.

Il dottor Tun Aung Shwe, Rappresentante del governo ombra (National Unity Government), ha confermato che l’esercito “usa i checkpoint per impedire l’arrivo di medicinali nelle aree controllate dalla resistenza”.

Mentre i civili cercano acqua potabile e cibo, il Paese è ancora bersaglio di bombardamenti. Secondo la Karen National Union, uno dei gruppi armati etnici più antichi del Paese, l’esercito continua a colpire villaggi e centri abitati. Un paradosso che il Relatore speciale ONU Tom Andrews riassume con parole drammatiche: “Invece di salvare vite, il regime continua a toglierle”.

Le Nazioni Unite chiedono l’accesso immediato ai territori colpiti e un cessate il fuoco totale. Alcuni gruppi ribelli, come la Three Brotherhood Alliance, hanno annunciato una tregua unilaterale per un mese, utile a favorire i soccorsi. Ma senza il via libera della giunta, gli aiuti restano bloccati ai confini.

Secondo il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP), oltre l’80% dell’infrastruttura urbana di Sagaing è distrutta o inagibile. “Sarà necessario radere al suolo interi centri abitati e ricostruirli – ha spiegato Kanni Wignaraja dell’UNDP – ma prima di tutto bisogna permettere ai nostri team di entrare”.

Intanto il Capo della giunta, Min Aung Hlaing, ha ammesso che il bilancio delle vittime potrebbe superare i 3.000 morti. Ma a oggi, la macchina dei soccorsi internazionale resta bloccata dalle stesse forze che dovrebbero tutelare i cittadini.

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