Libertà sotto assedio: la stampa in Turchia tra repressione e censura

Negli ultimi anni, la Turchia è diventata uno dei paesi più controversi al mondo in tema di libertà di stampa. Un tempo ponte tra Oriente e Occidente, oggi si trova al centro di critiche internazionali per la sistematica repressione dell’informazione indipendente. Il Governo del Presidente Recep Tayyip Erdoğan ha adottato una linea dura nei confronti dei media, scatenando una spirale di arresti, chiusure e intimidazioni che ha profondamente alterato il panorama giornalistico del paese.

Un colpo alla democrazia dopo il colpo di stato

Il punto di svolta si è verificato nel luglio 2016, quando un fallito colpo di stato ha fornito al governo il pretesto per avviare un’ondata di repressioni senza precedenti. Sotto lo stato d’emergenza, migliaia di persone sono state arrestate, tra cui centinaia di giornalisti. Decine di testate, considerate vicine ai movimenti d’opposizione o semplicemente critiche, sono state chiuse con decreto.

Le accuse più frequenti rivolte ai giornalisti? “Propaganda terroristica”, “appartenenza a organizzazioni criminali” o “insulto al presidente”. Reati spesso vaghi, che consentono un’applicazione arbitraria e politica della legge.

La censura come strumento politico

Secondo Reporters Sans Frontières, la Turchia è uno dei peggiori paesi al mondo in termini di libertà di stampa, collocandosi regolarmente in fondo alla classifica annuale. Internet e i social media, inizialmente rifugi sicuri per il giornalismo indipendente, sono oggi soggetti a pesanti controlli. Interi siti vengono bloccati, tweet cancellati e giornalisti digitali perseguiti come quelli tradizionali.

Il caso del giornalista Can Dündar, ex direttore del quotidiano Cumhuriyet, è emblematico: dopo aver pubblicato un’inchiesta sul traffico di armi verso la Siria da parte dei servizi segreti turchi, è stato arrestato e condannato. Oggi vive in esilio, simbolo di una stampa costretta a fuggire per sopravvivere.

Il clima della paura e l’autocensura

Il risultato di questo clima repressivo è l’autocensura diffusa. Molti giornalisti evitano argomenti sensibili per timore di ritorsioni. Le grandi testate nazionali, spesso controllate da imprenditori vicini al Governo, pubblicano notizie filtrate e omettono deliberatamente eventi scomodi.

Anche il giornalismo locale, da sempre fondamentale per la democrazia, è sotto assedio: le voci che denunciano corruzione, abusi o disfunzioni nelle amministrazioni regionali vengono messe a tacere con minacce, licenziamenti o arresti.

La reazione internazionale

Numerose organizzazioni per i diritti umani e la libertà di stampa hanno condannato la situazione in Turchia. L’Unione Europea ha più volte espresso preoccupazione, legando anche i negoziati per l’adesione del paese al rispetto dei diritti fondamentali. Tuttavia, le pressioni diplomatiche finora hanno prodotto scarsi risultati.

Conclusione: una stampa da ricostruire

La situazione della libertà giornalistica in Turchia resta estremamente fragile. Nonostante il coraggio di molti reporter e attivisti, la repressione continua a soffocare il diritto dei cittadini a un’informazione libera e pluralista.
Solo un cambiamento politico e culturale profondo potrà restituire alla stampa il ruolo fondamentale che le spetta in ogni società democratica: quello di controllore del potere e voce del popolo.