Con la Russia troppo impegnata nella guerra in Ucraina da oltre mille giorni, e con l’Iran ‘bloccato’ nel confronto con Israele (che, ha detto al Times of Israel un funzionario israeliano, ha tutto l’interesse a che i combattenti in Siria continuino a farsi la guerra l’uno con l’altro tra “jihadisti salafiti da un lato” e “Iran e Hezbollah” dall’altro”.
Secondo il Wsj, Erdogan è ora in una posizione decisamente più forte per fare pressioni sulle milizie curde in Siria, considerate da Ankara gruppi terroristici, ma che sono state sostenute dagli USA in funzione anti-Isis.
Ankara, infatti, approfitta della situazione e spinge su Damasco per una soluzione politica al conflitto. L’offensiva, secondo il Wsj, dà alla Turchia, che ha dispiegato ingenti forze nell’enclave ‘ribelle‘ nella provincia nordoccidentale di Idlib sulla base dell’accordo per il cessate il fuoco del 2020, una possibilità di tentare di allentare la pressione sul suo confine meridionale.
Nel Paese guidato da Erdogan c’è chi spera che l’avanzata delle forze anti-Assad spinga i rifugiati a tornare in patria, ma, al momento, il rischio maggiore è che i raid aerei siriani e russi su Aleppo e su altri territori in mano all’opposizione armata, creino un ulteriore nuovo esodo, con continue ondate di rifugiati che potrebbero riversarsi in Turchia.
Ankara del resto ha tutte le ragioni per essere soddisfattaperché l’offensiva dei ribelli siriani rafforza l’influenza geopolitica della Turchia, alleato degli USA, membro della NATO, che in passato è stato il principale sostenitore della rivolta armata contro il leader siriano Bashar al-Assad 13 anni fa. L’escalation in Siria vede Hayat Tahrir al-Sham e le fazioni armate alleate protagoniste di una rapida avanzata e sono arrivate alle porte di Homs, sempre più vicine a Damasco.
Intanto, secondo il World Food Programme, la recente escalation nel nordovest del Paese arabo ha già fatto più di 280.000 sfollati.