La guerra in Ucraina e l’incognita Trump stanno scuotendo le fondamenta della sicurezza europea, spingendo istituzioni e governi a interrogarsi sul futuro della difesa del continente. In un contesto sempre più fragile, il dibattito sulla difesa europea torna centrale: si moltiplicano gli appelli a rafforzare il “pilastro europeo” della NATO e persino a dar vita a un vero esercito comune. Ma quali sono le opzioni realistiche?
Se il focus ufficiale resta sulla mobilitazione delle risorse economiche, dietro le quinte prosegue il confronto tra alcuni Stati membri per un maggiore impegno militare diretto in Ucraina: dagli aiuti alla fornitura di mezzi, fino all’ipotesi – controversa – di una forza europea di rassicurazione in caso di armistizio con Mosca. Il tutto mentre cresce la percezione di un progressivo disimpegno degli Stati Uniti dal vecchio continente.
Come osserva Alessandro Marrone dell’Istituto Affari Internazionali (IAI), oggi si assiste a un conflitto tra la difesa dell’Europa – garantita dalla NATO e dagli USA – e una vera difesa europea ancora tutta da costruire. La NATO resta l’unico scudo operativo ed efficace, ma l’Unione, almeno formalmente, non ha competenze militari pienamente autonome. I trattati europei consentono solo forme di cooperazione tra paesi volenterosi (art. 44 TUE), ma mai applicate fino ad oggi.
La difesa comune non è prevista dai trattati se non con decisione unanime, un’eventualità improbabile vista la neutralità di alcuni Stati membri (Austria, Irlanda, Cipro e Malta) e le divergenze interne. Inoltre, la Commissione non ha poteri militari né accesso a risorse e strutture come quartier generali o basi. La stessa leadership militare UE passerà da un generale austriaco a uno irlandese, riflettendo un’ambizione ancora limitata.
La Francia, storicamente fautrice della défense européenne, oggi guarda con maggiore favore alla NATO, anche per via degli insuccessi delle sue missioni in Africa. Intanto, si riaccende l’ipotesi di un “pilastro europeo” della NATO: una formula già discussa negli anni ’90, mai applicata, ma che permetterebbe operazioni europee sotto ombrello NATO, senza partecipazione USA.
L’idea di un esercito europeo ritorna ciclicamente, specie in periodi di instabilità globale. Ma metterlo in pratica è complesso: servirebbe un trattato ad hoc, una catena di comando autonoma e una governance chiara. Sarebbe uno strumento separato dall’UE, formato dai soli Stati membri disposti (e capaci) a partecipare. In passato, tentativi simili come la Comunità Europea di Difesa (1954) e l’Unione dell’Europa Occidentale (disciolta nel 2010) sono falliti per motivi politici.
Secondo molti analisti, incluso Giovanni Castellaneta, ex Ambasciatore e osservatore esperto di geopolitica, un’eventuale coalizione di volenterosi per l’Ucraina potrebbe rappresentare un primo banco di prova. Anche se non dovesse concretizzarsi, servirebbe a testare la reale disponibilità degli Stati UE a cooperare militarmente senza (o con minore) supporto USA.
In prospettiva, la NATO “europeizzata” – cioè con maggior peso e responsabilità degli alleati europei – potrebbe rappresentare la soluzione più realistica. Questo garantirebbe continuità operativa in caso di nuova amministrazione americana meno favorevole all’Alleanza. Ma per farlo, l’Europa dovrà investire di più, dotarsi di strumenti comuni, superare le sue divisioni e assumere un ruolo più attivo nella propria sicurezza.
Il messaggio è chiaro: l’autonomia strategica europea non è solo una questione militare, ma anche politica, istituzionale e culturale. Se l’Europa vuole davvero contare nel nuovo ordine globale, dovrà decidere – e presto – chi protegge l’Europa quando l’America guarda altrove.