La Sezione immigrazione del Tribunale di Roma aveva rimesso con ordinanza n.46690/2024 – il caso dei migranti trattenuti nel centro in Albania alla Corte di Giustizia europea, sospendendo il provvedimento di convalida del trattenimento. La decisione riguardava sette migranti, egiziani e bengalesi, che si trovavano all’interno del nuovo Centro italiano di permanenza per il rimpatrio di Gjader costruito dal Governo italiano in Albania e da lì sarebbero dovuti essere rimpatriati probabilmente nei propri Paesi d’origine o in altri Paesi considerati dal Governo italiano sicuri. Allo scadere dei termini di convalida i sette migranti hanno dovuto lasciare l’Albania e fare comunque rientro in Italia dove probabilmente ancora si trovano.
Ieri sera, la Corte di Cassazione dando ragione al Tribunale di Roma, ha invece stabilito che sui Paesi sicuri per i migranti l’ultima parola spetta al giudice. La Suprema Corte ha risposto così al rinvio pregiudiziale sollevato dal Tribunale di Roma il 1° luglio 2024.
La Prima Sezione civile della Suprema Corte, nel ribadire, infatti che, il giudice ordinario è il garante dell’effettività, nel singolo caso concreto al suo esame, dei diritti fondamentali del richiedente asilo, ha affermato che è riservata al circuito democratico della rappresentanza popolare la scelta politica di prevedere, in conformità della disciplina europea, un regime differenziato di esame delle domande di asilo per gli stranieri che provengono da Paesi di origine designati come sicuri. Il giudice ordinario, quindi, non può sostituirsi al Ministro degli affari esteri. Non può neppure annullare con effetti erga omnes il decreto ministeriale.
Può tuttavia – si spiega in una nota – nell’ambiente normativo anteriore al decreto-legge 23 ottobre 2024, n.158, e alla legge 9 dicembre 2024, n.187, in sede di esame completo ed ex nunc, valutare la sussistenza dei presupposti di legittimità di tale designazione, ed eventualmente disapplicare in via incidentale, in parte qua, il decreto ministeriale recante la lista dei Paesi sicuri (secondo la disciplina ratione temporis), allorché la designazione operata dall’autorità governativa contrasti in modo manifesto, tenuto conto delle fonti istituzionali qualificate di cui all’art. 37 della direttiva 2013/32/UE, con i criteri di qualificazione stabiliti dalla normativa europea o nazionale”.
“Inoltre – si spiega ancora – a garanzia dell’effettività del ricorso e della tutela, il giudice conserva l’istituzionale potere cognitorio, ispirato al principio di cooperazione istruttoria, là dove il richiedente abbia adeguatamente dedotto l’insicurezza nelle circostanze specifiche in cui egli si trova. In quest’ultimo caso, pertanto, la valutazione governativa circa la natura sicura del paese di origine non è decisiva, sicché non si pone un problema di disapplicazione del decreto ministeriale”.