Attacco a Sumy, la pace si allontana: l’analisi degli esperti

Vladimir Zelensky

La possibilità di un cessate il fuoco duraturo tra Ucraina e Russia appare oggi più lontana che mai. L’attacco missilistico russo su Sumy – che ha causato 34 morti e oltre 100 feriti – ha aggravato il clima di sfiducia tra le parti, proprio mentre erano in corso trattative riservate tra Mosca e Washington.

Le dichiarazioni del Portavoce del Cremlino Dmitri Peskov hanno confermato che non si intravedono risultati immediati dai colloqui con gli Stati Uniti. Un segnale che rischia di mettere in discussione la strategia del Presidente Donald Trump, intenzionato a chiudere il conflitto con un accordo che preveda prima una tregua generale e poi un’intesa politica.

Secondo l’Institute for the Study of War (ISW), think tank statunitense, la Russia sta strumentalizzando le condizioni del cessate il fuoco, sfruttando la mancanza di meccanismi indipendenti di monitoraggio per accusare Kiev di violazioni senza fornire prove.

“Il Cremlino – sottolinea l’ISW – sembra intenzionato a creare le basi per eventuali violazioni future, accusando l’Ucraina e legittimando così nuovi attacchi. Potrebbero essere anche azioni sotto falsa bandiera a rompere una futura tregua”.

Le affermazioni del Direttore del secondo dipartimento del Ministero degli Esteri russo Alexei Polishchuk vanno nella stessa direzione: Mosca è disponibile a negoziare solo “sulla base delle realtà attuali”, ossia riconoscendo le conquiste territoriali ottenute con la guerra. Una condizione ritenuta inaccettabile da Kiev e incompatibile con gli obiettivi di pace dichiarati da Trump.

L’ISW evidenzia la necessità di solidissimi meccanismi di controllo e verifica per garantire un futuro cessate il fuoco, dato che già la moratoria sugli attacchi alle infrastrutture energetiche è stata messa in discussione da accuse unilaterali da parte di Mosca.

Allo stesso tempo, la Russia ha respinto l’ipotesi di una missione di peacekeeping internazionale, giudicandola “non all’ordine del giorno”. Il Cremlino rifiuta inoltre il dispiegamento di una cosiddetta “forza di rassicurazione” proposta da Francia e Regno Unito.

Nel frattempo, l’ex Presidente Donald Trump è tornato ad attaccare frontalmente Joe Biden e Volodymyr Zelensky, accusandoli di aver “permesso” l’inizio della guerra: “C’erano tanti modi per impedirla – ha scritto su Truth Social – ma ora dobbiamo farla finire in fretta. È una tragedia”.

Durante un incontro con il Presidente di El Salvador Nayib Bukele, Trump ha chiarito la sua posizione: “È la guerra di Biden, non la mia. Durante i miei quattro anni alla Casa Bianca non è successo nulla del genere. Ora sto cercando di fermarla”.

Pur riconoscendo le responsabilità di Putin, Trump ha criticato Zelensky per aver “iniziato una guerra contro un nemico venti volte più grande, sperando poi che il mondo gli inviasse missili”.

L’attacco a Sumy non solo ha causato una nuova strage di civili, ma ha anche fatto emergere, ancora una volta, quanto sia fragile la prospettiva di un accordo di pace reale. Tra accuse reciproche, veti incrociati e dichiarazioni bellicose, ogni spiraglio sembra richiudersi prima ancora di aprirsi davvero.

Se l’obiettivo di Trump resta quello di chiudere il conflitto prima delle presidenziali del 2024, il contesto sul campo e le posizioni attuali dei protagonisti sembrano andare nella direzione opposta: una tregua resta lontana, e la guerra continua.